Lettera aperta al Ministro Valditara
(a margine delle sue recenti affermazioni sul presunto successo nell’adesione alle figure di Tutor e Orientatore e di qui nell’approvazione della “grande rivoluzione del merito”)
Su Tutor e orientatori, prego, non diamo i numeri.
Perchè oltre al “merito”… c’è anche il metodo.
(di GIOVANNI CERIANI, 06-06-2023)
Egregio Ministro dell’Istruzione e del Merito,
come docenti della Scuola della Repubblica, ci sentiamo di invitarLa ad una maggiore cautela e sobrietà nel leggere i dati finali sull’adesione al nuovo profilo di Tutor-Orientatore, rispetto ai toni trionfalistici a cui con sorpresa stiamo assistendo in queste prime ore. Una maggiore prudenza ed onestà intellettuale nel leggere numeri che a nostro avviso non possono essere interpretati così entusiasticamente ed enfaticamente come invece apprendiamo da certa stampa e lanci di agenzie. Non ravvediamo né i margini (quantitativi) per parlare di “risposta eccezionale giunta dalla comunità scolastica tutta e dai docenti in particolare”, né i termini (qualitativi) per celebrare una enfatica “dimostrazione di voler ricoprire un ruolo da protagonisti del cambiamento della scuola”, come Lei ha così assertivamente dichiarato. Tantomeno ci pare opportuno parlare di “Scuola, boom di tutor” (Il Mattino, Il Messaggero), “Valditara: docente tutor, record di adesioni” (Corriere della Sera), fino al “Boom di adesioni al progetto tutor: oltre 52000 docenti. Valditara zittisce i gufi: un successo” (Il Secolo d’Italia).
Ci aspetteremmo maggiore cautela, visto che, al contrario, noi per primi, impegnati in questi mesi in un minuzioso lavoro di problematizzazione della misura e di sensibilizzazione sui rischi ad essa connessi, non ci permetteremmo di salutare la restante non-partecipazione (circa 80% aventi diritto) come una grande vittoria del fronte degli scettici, dei “protestatari”, dei “gufi”.
E non lo facciamo perché fin da subito abbiamo riconosciuto la complessità del problema e pure la confusione che si è creata attorno a questa misura: sia nella sua costruzione normativa e poi, più ancora, nella sua implementazione (anche mediatica) successiva. Confusione e continui aggiustamenti, tra spostamenti di scadenze, rivisitazione di mansioni, ruoli e impegno annuale, nonché messaggi altalenanti su compensi economici (lordo, netto, mensile, annuale, di base, straordinario, etc.) e altri bonus: uno per tutti la dichiarazione sul tanto sbandierato quanto inverosimile punteggio per la mobilità. Su ogni singolo passaggio c’è stata una qualche modifica (di fatto o di.. “racconto”) a riprova di un assestamento continuo, volto da un lato a coprire e limare le piccole magagne quotidiane e, dall’altro, a tenere ben alta la bandiera della “grande rivoluzione del merito”.
E difatti i numeri che leggiamo oggi mostrano ben altro che un’adesione di massa a questa presunta o pretesa “rivoluzione”. Poco più di 50 mila adesioni per poco meno di 50 mila posti, a fronte poi di una platea potenziale cinque volte maggiore (insomma un misero 20% a fronte dei circa 250 mila docenti totali delle scuole superiori), non è certamente quel trionfo che si sta per celebrare, né tantomeno un convinto e massivo lasciapassare della generalità del corpo docenti a questo “nuovo che avanza”.
Chiamiamolo, più onestamente, “minimo sindacale” (oggi “minimo ministeriale”), anche perché seguendo alcune interviste da giornali di settore, emerge pure come tanti “aderenti” non l’abbiano fatto perché spinti da una chiara convinzione, ma spesso (ed al contrario) l’abbiano fatto accompagnati da timori, senso di confusione e mancanza di chiarezza su punti nevralgici come mansioni, formazione, vincoli vari, compenso e il famoso dilemma (specchietto?) del punteggio. Insomma, una partecipazione minima e pure a tratti confusa: altrochè l’adesione convinta e di massa che si vuole sbandierare.
Ma non solo. Infatti siffatta consigliata prudenza nella lettura dei dati potrebbe pure trasformarsi in una più aperta denuncia e sconfessione, se solo la collegassimo – come incautamente fa il Ministro – a tutta la retorica e pomposità con cui è stata in questi mesi presentata, raccontata ed accompagnata.
Se questa adesione, se questi numeri, dovevano essere la “prova del nove”, cioè la dimostrazione del valore, del consenso e del sostegno “di popolo” (cioè dei docenti tutti) alla “Grande Rivoluzione del Merito”, ci pare lecito concludere che il risultato attuale è ben misero e minoritario: appunto un mero “minimo sindacale”, oggi “minimo ministeriale”.
Insomma, diciamo pure che questi dati sono deludenti, sconsolanti ma a tratti pure sconcertanti. Sì, proprio sconcertanti e preoccupanti perché in tal caso, sarebbero il sintomo di un male ben più grave ed esteso, ossia il sintomo di una sostanziale, maggioritaria e generalizzata insensibilità della scuola e dei docenti ai temi, spesso drammi, proprio del disagio e dell’abbandono scolastico, e di qui una analoga ostilità e rigetto dei principi della personalizzazione e dell’inclusione.
Ma è proprio così? E’ mai possibile che sia così?
No, ovviamente non lo è. E lo dimostra la stessa quotidianità scolastica di migliaia di docenti impegnati in innumerevoli pratiche di personalizzazione didattica e inclusione scolastica, a partire dai tanti docenti di sostegno a tal scopo quotidianamente dedicati, per arrivare ai docenti di materia impegnati anch’essi quotidianamente nell’edificazione e valorizzazione della scuola di tutti e di ciascuno. Sono tutti docenti e attori impegnati in questa grande azione pedagogica volta ad ammodernare (innovare?) la scuola e gli approcci didattici pur nel rispetto dei principi costituzionali e nel mandato educativo che la Costituzione assegna.
Possibile che tutti questi docenti, i tre quarti di questi docenti, la maggioranza di questi docenti, non abbia colto il valore ed il senso della “rivoluzione” in atto? Oppure vi è uno scarto tra pomposità della narrazione generale e la specificità e innumerevoli criticità della misura adottata?
Forse, consigliamo il Ministro, meglio perseguire questa seconda ipotesi interpretativa. Ed allora lasciamo stare proclami e slogan e cerchiamo di affrontare la complessità dei problemi e la pertinenza delle critiche diffuse. Anche perché noi per primi, docenti della nuova e presunta “scuola del merito e della personalizzazione”, avremmo suggerito ben altre soluzioni pratiche, dal basso e condivise per accompagnare e implementare questo “merito” e questa “personalizzazione”.
Non ci saremmo certo sottratti, ma anzi avremmo offerto proposte e indicazioni ben precise, urgenti e funzionali, a partire dal potenziamento delle figure e di organi già oggi esistenti. In primis, valorizzando il ruolo dei Consigli di classe e riconoscendo il gran lavoro dei coordinatori di classe: un lavoro di coordinamento, conciliazione continua di sensibilità e valutazioni spesso discordanti e a tratti inconciliabili, ed infine ma appunto di regolazione ed armonizzazione della migliore personalizzazione didattica possibile.
In secondo luogo, ma sempre per perseguire una efficace personalizzazione didattica, indicheremmo come inevitabile e improrogabile l’intervento per l’eliminazione delle classi pollaio, ossia ambienti-di-apprendimento refrattari per “costituzione fisica” ad interventi modellati sulle caratteristiche, gli stili e i ritmi di apprendimento di ciascuno.
Per non parlare in terzo luogo delle tante figure che già oggi si occupano da un lato di orientamento (vedi i referenti pcto e orientatori in entrata ed uscita) e dall’altro di inclusione (vedi tutti i docenti di sostegno). Questi ultimi sono una risorsa immensa per ideare, disegnare e concretizzare percorsi di personalizzazione. Ma non dimentichiamo nemmeno il famoso personale Covid, ricco di giovani docenti che tanto si sono spesi e tanto hanno giovato alla scuola nella fase pandemica per il recupero di conoscenze disciplinari e la riattivazione di una normalità scolastica.
Tutte proposte che sarebbero emerse dall’interno delle dinamiche attuali, a partire dalle criticità attuali e senza stravolgimenti di governance e di ruoli, sia garantendo e mantenendo la pienezza della funzione docente e della scuola, sia arricchendo dall’interno le figure già esistenti, riconoscendone il valore e lo sforzo già presente ed operante.
Ci saremmo pure aspettati, ad un decennio dalla Legge 170 del 2010, una discussione pubblica per tirare le somme, fare un bilancio, riflettere su usi e abusi della sua quotidianità didattica, poste le innumerevoli vulnerabilità che la pratica ha mostrato, tra utilizzo riduttivamente burocratico e standardizzato ad opera di docenti oberati da troppe incombenze e pressioni formali, e utilizzo più spregiudicato ed “individualista” da parte di studenti e genitori, sempre più spesso e con sempre più insistenza ripiegati su se stessi, in un gioco di specchi (e richieste di facilitazione) che poco ha a che fare con le “zone di sviluppo prossimale”, totem e asticella ineliminabile di una vera e sana personalizzazione.
Perché poi, ed infine, è proprio di questo che si sta parlando: ossia a quale idea (e pratica) di personalizzazione ci stiamo affidando? Alla vera personalizzazione didattica come elevazione e valorizzazione di tutti, all’interno di un impianto scolastico che promuove e tutela la trasmissione del sapere: per tutti e ciascuno? Oppure ad una personalizzazione come “cavallo di Troia” per veicolare (e rinfocolare) le sempre più pressanti istanze e pretese (anche mediatiche) di continuo alleggerimento, facilitazione, e financo delegittimazione del ruolo, del lavoro e della professionalità dei docenti, della loro autorevolezza e competenza?
Perchè appunto, è proprio questa malintesa (e mal praticata) personalizzazione ad essere sullo sfondo di gran parte delle critiche e delle ostilità che oggi suscita questa figura del tutor: un tutor che, nel mentre viene a “costituirsi come consigliere delle famiglie”, rischia di esporsi – ed esporre la scuola tutta (a cominciare dai consigli di classe) – ad una possibile pressione esterna, che può di volta in volta intensificarsi in termini di interferenza, pretesa, comando, come la cronaca scolastica mostra con sempre maggiore frequenza ed intensità (fino alle casistiche di violenza aperta nei confronti di singoli docenti).
Per concludere, gentile Ministro, ci risparmi i toni trionfalistici. Per amore della scuola e della scuola della Repubblica pure. Perché, forzatura per forzatura, i dati non dimostrano un’adesione plebiscitaria e di massa alla grande rivoluzione del merito e della personalizzazione, ma eventualmente proprio il suo contrario. Quindi rimaniamo su un più onesto e cauto riconoscimento di un “minimo sindacale” (oggi “minimo ministeriale”) e piuttosto iniziamo a ragionare, pubblicamente, collettivamente, apertamente, nel merito delle critiche che sono emerse in questi mesi e che possono fungere da ricco patrimonio di idee e proposte per una vera rivoluzione della scuola di tutti e di ciascuno.
Perché oltre al “merito”, a noi interessa anche il “metodo”.